USI E COSTUMI

MARTA VILLA; antropologa culturale Università degli Studi di Trento, studia in particolare l’ambito alpino

L’arte della fotografia ci permette di entrare in punta di piedi in un mondo comunitario, apparentemente fermo in una istantanea, ma non per questo meno vivo. Racconta momenti quotidiani o episodi eccezionali e per questo è una modalità immediata ed empatica di comprendere il vissuto di altri esseri umani: ci consente di avvicinarci a memorie lontane, conserva dettagli che andrebbero perduti irrimediabilmente. Il fascino del bianco e nero o del color seppia ci trasportano in un tempo senza tempo: presente nel nostro ricordo, ma che non abbiamo vissuto direttamente. Riaffiorano così i racconti dei nonni di usi e di attività tradizionali di cui oggi abbiamo una presenza sempre più evanescente. Anche in Valle di Ledro ora è possibile intraprendere questo viaggio nel passato attraverso gli occhi di chi scattò quelle immagini raccogliendo anche inconsapevolmente tratti di una collettività che ha creato giorno per giorno la propria storia.
Per la pratica antropologica queste testimonianze, solo esteriormente mute, sono preziosi documenti da interrogare, da osservare con una lente di ingrandimento per avvicinarsi al vissuto di allora scoprendo sfaccettature ancora in ombra.
Sono pregevoli gli scatti delle donne intente nelle loro occupazioni quotidiana: vediamo Gisella Trentini a Mezzolago negli Anni Quaranta sulla sponda dello specchio lacustre con il tipico strumento utilizzato per appoggiarsi e lavare il bucato, oppure a raccolta attorno alle fontane dei paesi o sedute in piazza con il proprio arcolaio dove tra fatica e attimi di riposo nasceva quell’intrico di racconti che rinsaldava il tessuto sociale.
Le feste agrarie o del calendario liturgico ci offrono uno spaccato sul tempo libero di una società contadina che attendeva per esempio il carnevale per offrire un piatto di spaghetti e polenta a tutta la comunità, usanza antichissima e tipica in tutte le Alpi, come nell’immagine del Martedì Grasso del 1952 a Pieve di Ledro. Il Carnevale era un momento importante anche per i bambini che nei primi Anni Cinquanta (Silvio Giovanetti e Piera Piccini a Bezzecca) si travestivano da se stessi (piccoli contadini) giusto per ricominciare a vivere e scherzare dopo una guerra tremenda che aveva tolto la speranza. Favolosa la fotografia degli Anni Trenta dove un numeroso gruppo di uomini, tra cui certamente i componenti della banda, sono travestiti per la celebrazione forse del periodo carnevalesco: spicca il bianco, colore tipico in molte altre celebrazioni alpine di questo periodo (tra l’Epifania e il Mercoledì delle Ceneri), copricapi particolari (corone), mantelli e bastoni, gli uomini interpretano anche la parte delle figure femminili (c’è un uomo travestito da donna con in braccio un bambino fantoccio in fasce), i volti sono anneriti come accade ad esempio nella trentina Valle dei Mocheni dove i coscritti ancora oggi celebrano il rito del debeciato.
Il mondo rurale si dava appuntamento anche per la Fiera di San Michele, dopo la desmontegada, un evento importantissimo per ritrovare la socialità perduta e per mostrare con vanto giustificato il frutto del proprio lavoro di allevatori, un’arte anch’essa costellata di gesti minuziosi, cure materne e sapere antico da tempo dimenticato. Sono importanti lasciti che ci ricordano che anche qui come altrove nelle Alpi alcuni simboli erano identici: una comunità culturale quindi allargata che poteva sentirsi parte di un mondo scandito dai suoi ritmi e dalle sue peculiarità. La musica è un altro elemento rilevante nelle fotografie raccolte: i balli nelle varie locande/osterie/alberghi dei paesi ledrensi erano un momento di gioia e di aggregazione, un modo per trascorrere ore più spensierate, il cantare insieme, come nella splendida immagine degli anni Cinquanta che denota uno spirito di comunanza creato dalle melodie popolari che erano conosciute da tutti. Emozionante nella sua semplicità il ritratto d’inizio Novecento della famiglia di Bortolo Casari a Molina, composta da musicisti (violoncello, clarinetto, fisarmonica, violino) che dimostra quanto questa arte fosse praticata in Valle e quanto fosse stata importante una educazione musicale.
Non manca nemmeno uno spaccato sul lavoro: il mondo rurale appare con tutta la sua commovente bellezza, come nella fotografia di famiglia del 1920 dove Domenico Risatti e la consorte Apollonia Boccagni di Legos sono orgogliosi di farsi immortalare con la propria pecora o in quella degli anni Cinquanta nella quale compaiono sia la pecora sia la capra come membri importanti della famiglia di Felice Risatti. Il mondo dell’artigianato è presente con numerose testimonianze: ci colpisce in particolare quello dei ciuaroi, che sapevano realizzare con sapienza le celeberrime brocche, chiodi per scarpe, zoccoli e scarponi ricercate ovunque. Nella fotografia degli anni Settanta Marino Berti e Emilio Cellana sono occupati a pesare i chiodi, operazione indispensabile per dare poi il giusto compenso agli artigiani. Un anziano calzolaio di Mori mi confidò tanti anni fa prima di morire che saliva appositamente in Valle di Ledro in bicicletta dalla strada Ponale per rifornirsi della materia prima preziosa e che mai avrebbe sostituito quei chiodi con altro, ancora in epoca recente per alcune scarpe di pregio preparate su commissione e quindi su misura cercava qualche artigiano che fosse in grado di realizzarli o che ne aveva conservati alcuni.
I semplici giochi dei bambini, spesso con oggetti fabbricati da sé stessi o dai genitori, nelle piazze o nei volti delle case riaccendevano la memoria sulla guerra appena passata: come l’immagine del 19 luglio 1956 a Tiarno di Sotto dove Lanfranco, Piero e Giovanni Fedrigotti impugnano fucilini di legno e piccole mitragliatrici casalinghe che ci rievocano la celeberrima frase di Umberto Eco: «I miei giocattoli di un tempo erano di legno e di latta. Sciabole, fucilino a tappo, un piccolo casco coloniale del tempo della conquista dell’Etiopia, una intera armata di soldatini di piombo, e altri più grandi di materiale friabile, chi ormai senza testa, chi senza un braccio, col solo spuntone di fil di ferro attorno a cui si reggeva quella sorta di creta verniciata. Dovrei aver vissuto con quei fucilini e quegli eroi mutilati giorno per giorno, in preda a furori guerreschi. Per forza, a quell’epoca un bambino doveva essere educato al culto della guerra (U. Eco, La misteriosa fiamma della Regina Loana, Bompiani, Milano 2003, p. 128)».
Molti ritroveranno la propria storia in queste descrizioni, eventi della vita che hanno segnato la maggior parte dell’esistenza dei nostri genitori e dei nostri nonni: le fatiche del lavoro, gli svaghi che la montagna poteva offrire (pic-nic e passeggiate), i momenti intensi di socializzazione condivisa, lo scorrere della vita celebrato dalla nascita alla morte da comunità coese che attraverso questi ritratti possono ancora raccontare un passato vitale, una occasione di memoria per costruire il futuro.

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Fotografia di paesani cucinano spaghetti durante la festa dell’ultimo giorno di carnevale in piazza a Pieve di Ledro

Fotografia di gruppo persone in maschera di carnevale davanti alla sede del P.N.F., allora municipio di Tiarno di Sotto

Fotografia di mostra zootecnica durante la fiera di San Michele a Pieve di Ledro

Fotografia di donne che filano

Fotografia di ragazzini che giocano alla guerra a Tiarno di Sotto

Fotografia di bambini vestiti da carnevale a Bezzecca

Fotografia di gruppo ad una festa con musicisti

Fotografia di coppia con pecora

Fotografia di ciuaroi al lavoro