MUSICA

ANGELO FOLETTO, critico musicale, musicologo, archivista, docente e conduttore radiofonico

In gruppo o da soli, in divisa o in borghese, in formazione e assettati per reparto o in ordine sparso, in posa o quasi colti di sorpresa, alla sprovvista o di sguincio, volontariamente o come postille di intrattenimento a gite aziendali. Con strumenti e a voce spiegata. In occasioni ufficiali – civili e sociali come nell’inquadratura della distribuzione di farina e ciambelle ritmata dalle note, immaginiamole staccate e alla marcia, del flicornista – oppure private. Quanti musicisti, suonatori e cantori, risuonano nelle immagini storiche qui raccolte. Quanta dignità e orgoglio nel ritratto – una gara di dignità, eleganza contadina, con l’abito “delle feste”, e fierezza – del clan musical-familiare «Rosinete» di Molina. Nonostante si intuisce a occhio che gli strumenti imbracciati siano modesti nella fattura, chi guarda il fotografo ha un contegno speciale: si riconosce chi sa di possedere e poter regalare agli altri il piacere della musica padroneggiando una qualità professionale ‘nobile’ e non comune. Seppure non così rara come si potrebbe pensare. Un’abilità, magari imparata per imitazione e istinto, ma distintiva per la comunità piccola in cui viene attuata. La prima considerazione che viene spontanea scorrendo i ritratti ‘musicali’ di questa toccante galleria fotografica è sottolineare quanto la pratica del suonare/cantare, cioè l'esercizio della musica, pubblica e privata avesse spazio nella vita sociale del passato. E fosse tenuta in grande considerazione. La esercitavano famiglie intere, dilettanti scompagnati, gruppi organizzati. In pratica, non c’era occasione collettiva, dalle feste patronali o civili a quelle religiose, in cui i musicisti non fossero ospiti di riguardo. Volti segnati dalla fatica del lavoro quotidiano ma in quel momento al centro dell’attenzione, resi ispirati e alteri dal fatto di imbracciare uno strumento e far musica per i compaesani o gli ospiti. In tutto in perfetta armonia con la civiltà e cultura eminentemente rurale, contadina e montanara che la valle incarna ma che tali qualità seppe custodire e rispettare (tant’è che oggi molte fotografie ce le restituiscono).
Nella comunità chiuse per ragioni geo-morfologiche come le valli (pre)alpine, al di là delle ritualità legate al calendario e agli orari stagionale del lavoro, ci sono due grandi momenti comunitari di condivisione. Spesso di festa. La pratica religiosa e quella musicale. Da sempre. Nel Trentino, ad esempio, le bande musicali – rampollate dai corpi di guardia civica nati negli ultimi decenni dell’Ottocento, e riprodotte sul territorio dai componenti finita la leva, congiungendosi o fondando la tradizione dell’associazionismo maschile locale – vantano una tradizione gloriosa e antica. Un po’ declinata tra le due Guerre, oggi felicemente rinnovata. Altrettanto diffusa era la consuetudine del canto a più voci. Più documentata rispetto all’usanza delle intonazioni casalinghe, a voce sola (femminile più spesso) a intercalare i filò o a scandire ritmi di gesti lavorativi collettivi di donne e bambini. I canti corali (maschili) affondano le radici nella pratica e nel repertorio imitativamente borbottato e latinoramente aggiustato a fondo chiesa. Risuonavano nelle occasioni solenni, funerali o feste patronali con processioni coreograficamente disposte nelle vie del paese (quelle del Sabato Santo, ad esempio), tra turiboli fumiganti e statue lignee ballonzolanti  su spalle quasi mai alla stessa altezza o, fino a non moltissimi decenni fa, nel percorso per così dire extraurbano, sul sentiero stretto appena tracciato a falce nella prima erba fiorita nei prati, quando l’«Ascensione» era ritrovo laico-religioso di tutte le comunità parrocchiali alla «Pieve». Poi la storia del canto corale di paese s’è orientata ‘professionalmente’ tra gruppi a voci bianche-femminili concertati attorno all’armonio della chiesa – li riassume perfettamente l’istantanea della formazione di Pieve affidata alle cure di Gino Luraschi, tra cui spicca la presenza della mitica Maestra Spagnolli – e voci maschili in formazione incostante, che di solito tornavano a tuonare, spesso in trasferta da paese a paese, in occasione dei «Miserere» nei funerali solenni. Gli stessi, finito il rito, erano le colonne portanti delle formazioni laiche che si richiamavano all’esecuzione della ‘nuova’ tradizione popolare incarnata dal modello e dal repertorio della coralità satina.
C’è molta musica in questo impagabile zibaldone fotografico. Magari ci capita inaspettata come un regalo d’un tempo e d’un attimo di gioia in una fotografia di cui non ci interessa il contesto ma l’aura festiva – e riguardiamo affascinati quelle tre barche schierate sul lago, e il “palcoscenico” centrale occupato da tre strumentisti e due (presumibili) cantanti – e in generale l’idea di condivisione e complicità emotiva che la sola presenza d’un musicista o d’un gruppo di giovani che cantano, con o senza guida d’un maestro, suscitano. La musica la si ‘sente’ benissimo in ogni immagine ‘musicale’. Ci si sente dietro anche qualche dato storico: ad esempio la vicinanza della scuola mandolinistica di Ala che giustifica la presenza assidua di tale strumento ‘popolare’, anche perché tecnicamente non astruso; come trombe e flicorni a bocchino e senza pistoni di che si potevano imparare a suonare abbastanza agevolmente, quasi «a recia» come i semplici accordi delle canzoni a due-tre voci. Oppure è suggestivo far risalire la pratica musicale che queste foto dicono non così rara alla presenza-esempio degli aristocratici ospiti in valle russi fuggiti della rivoluzione, oppure da altrettanto distinti turisti da Arco – dov’erano pazienti ospiti sanitari – che, come Klaus Mann e altri, sul lago salivano spesso a fare escursioni e non è inverosimile immaginare che ingaggiassero (se non li avevano al seguito) alcuni strumentisti per allietare di note la giornata.
Ma, come e forse più che nei ritratti storico-fotografici rubricati nelle altre sezioni individuate da questa catalogazione, ogni gruppo, ogni musicante anche se non è ritratto in azione, esprime e riassume con la storia di quella famiglia o di quel paese, di quel giardino o scorcio di cortile, di quella specifica festività o tradizione familiare e paesana, di quel ballo appena concluso o da avviare col ritmo danzante su un prato, un prezioso senso di comunità. Rinnova la sensazione d’uno spirito d’appartenenza sociale e privata che ci tocca e unisce ancora, a distanza di oltre un secolo. Ribadisce quella percezione di condivisione.

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Fotografia di festa con musicisti

Cartolina di banda davanti al campanile di Tiarno di Sotto

Fotografia di gruppo ad una festa con musicisti

Cartolina di croce sul colle di S. Stefano a Bezzecca

Fotografia di barche sul lago di Ledro

Fotografia di gruppo in festa

Fotografia di gruppo con musicisti

Fotografia di gruppo

Fotografia di gruppo